- Ottobre 1, 2014
Interviste
Utility – Fassino al Corsera: “Fusioni è processo irreversibile”
“La politica ha il dovere di mettere a disposizione strumenti e risorse finanziarie per i proc...“La politica ha il dovere di mettere a disposizione strumenti e risorse finanziarie per i processi di concentrazione tra multiutility. I 500 milioni promessi sono un primo passo avanti ma altri se ne dovranno fare”. Piero Fassino, nelle vesti di sindaco del Comune di Torino e quindi di azionista di Iren è in attesa del varo della Legge di Stabilità. Sotto osservazione, il pacchetto di misure per promuovere le aggregazioni tra utility. Dal fondo per il sostegno finanziario a misure per facilitare l’accesso al mercato dei capitali, ora in gestazione al Mef e al ministero per lo Sviluppo.
Insieme al sindaco di Milano Giuliano Pisapia lei è il maggiore fautore delle aggregazioni. Oggi le aziende soffrono del calo di ricavi e margini, quali benefici possono portare gli accorpamenti?
“In Italia c’è una frammentazione estrema. Ci sono 30 società medie che erogano servizi energetici, idrici e di raccolta rifiuti. Poi ci sono migliaia di società intercomunali. E il problema è qui. Hanno un basso tasso di capitalizzazione, flussi di cassa vicini allo zero e ciò significa non solo avere scarse possibilità di ammodernare i servizi ai cittadini ma anche avere bilanci deficitari che pesano sul debito pubblico nel suo complesso oltre che su quello dei comuni azionisti. Insomma, immobilismo. Dal mondo politico e finanziario si evocano dimensioni appetibili per il mercato, sia con la quotazione in Borsa sia con l’apertura del capitale a
soci privati, per investire, migliorare i servizi e abbassarne il costo”.
C’è però una forte resistenza da parte dei soci pubblici delle utility e dei board che le guidano. C’è timore che le aggregazioni producano duplicazioni tra consiglieri e dirigenti?
“Nessun Paese può piegare le sue esigenze economiche ai desiderata di amministratori o manager, ancor meno alla conservazione dei loro incarichi. Unicredit e Intesa Sanpaolo non sarebbero mai nate se si fossero ascoltate le esigenze personali. E dalle aggregazioni bancarie l’Italia non ha certo subito danni. Anzi. E poi, una città è più forte se è azionista al 100% di una società piccola e ogni giorno a rischio o se è socia al 15% di una grande realtà? C’è una battaglia culturale da condurre”.
Si può uscire dallo stallo?
“Lo sblocco è un processo irreversibile. Il mercato spinge in questa direzione che darà valore ad azionisti e management. Ciascuno deve assumersi le proprie responsabilità. C’è una sfida aperta in Europa con i colossi Rwe, Vivendi e Gdf Suez. In Italia A2A, Iren, Hera e Acea si sono già mosse e sono più forti”.
Però ogni Comune tende a proteggere il suo territorio.
“E’ naturale l’attenzione al territorio. Ma questo non può trasformarsi in una politica di campanile. Tanto più che nei servizi operiamo in un mercato aperto di taglia europea. Ed è con queste dimensioni che le aziende si devono misurare. Chi l’ha detto che le aggregazioni allontanano le aziende dal territorio? Al contrario, si creano efficienza, qualità e posti di lavoro”.
Come può intervenire ancora la politica? Il governo del premier Matteo Renzi si è già detto favorevole alle concentrazioni.
“Si può avviare defiscalizzazione parziale per chi si allea, creare un fondo per l’innovazione per sostenere gli investimenti e, laddove necessario, gestire eventuali eccedenze con ammortizzatori sociali. Ma attenzione, Iren ed Hera hanno agglomerato più società senza traumi per l’occupazione”.
A che punto siete con le discussioni tra A2A e Iren per arrivare alla fusione?
“Come in tutte queste operazioni ci vuole un progetto industriale e questo è affidato al confronto tra i manager. Mi auguro che arrivi a esiti positivi”. (com/ef)