• Giugno 25, 2013
di anci_admin

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Riforme – Sindaco d’Italia? Dibattito su Anci Rivista, dal ‘no, grazie’ di Rutelli al ‘subito’ di Albertini

Elezione diretta del premier sul modello dei sindaci? A vent’anni dall’istituzione della...

Elezione diretta del premier sul modello dei sindaci? A vent’anni dall’istituzione della legge che ha favorito la governabilità nei Comuni e il rapporto tra eletto ed elettori si riaccende, sulle pagine di Anci Rivista, il dibattito tra i sindaci che furono protagonisti di quella svolta. E, sulla prospettiva del cosiddetto “Sindaco d’Italia”, i pareri si fanno articolati: nessun dubbio per Virginio Merola, delegato Anci agli Affari istituzionali, secondo cui “la legge per l’elezione diretta dei sindaci è esattamente quello che servirebbe al nostro Paese, perché permette ai cittadini di scegliere direttamente il proprio rappresentante e prevede un meccanismo a doppio turno che favorisce le aggregazioni”. Lo stesso Merola, però, avverte: “Non è comunque lo strumento elettorale che può risolvere le contese fra i partiti”. Possibilista senza se e senza ma, invece, l’ex sindaco di Milano Gabriele Albertini: “La legge dei sindaci a livello territoriale si è dimostrata validissima e credo sia riproponibile anche a livello nazionale. L’idea di nominare e revocare i ministri allo stesso modo di come un sindaco incarica gli assessori è il modo più efficace per dare stabilità ad una istituzione”, sostiene.
Francesco Rutelli, che a Roma inaugurò la nuova stagione dei primi cittadini, vede invece luci e ombre: “La chiarezza e la forza del mandato popolare – dice ricordando l’elezione del 1993 – mi hanno consentito un processo di profonde riforme organizzative, realizzative, operative. Non si può trascurare però l’eccessivo indebolimento del Consiglio, che ne ha abbassato la qualità del lavoro e il contributo strategico”. E in ogni caso Rutelli morde il freno e si dice contrario all’esportazione del modello a livello nazionale: “Il capo del governo – sostiene – deve orientare lo standing internazionale del Paese, capire di economia locale e globale, interpretare e guidare una società complessa. Non è un sindaco”.
La ricetta, per l’ex primo cittadino di Torino Valentino Castellani, si chiama invece “coalizioni urbane: la politica va rifondata partendo dalle città”, dice Castellani. Poi ricorda: “Con la legge ci fu un passo avanti verso la stabilità amministrativa, che ha garantito ai sindaci di impostare programmi di lungo respiro. A Torino demmo segnali forti che hanno trasformato la città da manifatturiera a capitale europea”.
Leoluca Orlando e Massimo Cacciari, che grazie all’elezione diretta hanno guidato Palermo e Venezia negli anni ’90, concordano nel ritenere che “la legge per l’elezione diretta del sindaco è una delle poche innovazioni istituzionali di qualche rilievo degli ultimi trent’anni”. Cacciari, però, parla esplicitamente di una “riforma tradita: oggi la politica – sostiene il professore – ne contraddice le fondamenta, dando ai sindaci maggiori responsabilità e nessun reale nuovo potere in tutte le materie che contano. La riforma avrebbe avuto un senso se si fosse proseguito a tutti i livelli secondo la sua logica. Allora il nostro sistema avrebbe assunto una fisionomia coerente. Oggi è semplicemente una veste di Arlecchino”.
Da parte sua, Orlando si concentra sul possibile miglioramento di quella stessa legge: ci vorrebbe “il totale sganciamento dell’elezione del sindaco da quella dei consigli comunali, con l’uso di una doppia scheda”. Se si parla di replicare lo stesso modello anche per l’elezione del premier, infine, il primo cittadino di Palermo non nasconde una certa cautela, ma avverte: “La legge per l’elezione diretta del sindaco ha essenzialmente due meriti: garantisce stabilità e governabilità, e lega fortemente l’eletto agli elettori. Basta guardare l’Italia di oggi e quanto avvenuto dopo le elezioni nazionali per comprendere quanto queste siano oggi due esigenze non più rimandabili”. (mv)