• Luglio 10, 2017
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Mezzogiorno – QEL Sole24Ore, il punto di vista Anci sui recenti provvedimenti del governo

di Francesco Monaco (*)   L'audizione dei Sindaci dell'Anci, svolta il 4 luglio scorso alla C...

di Francesco Monaco (*)
 
L’audizione dei Sindaci dell’Anci, svolta il 4 luglio scorso alla Commissione Bilancio del Senato della Repubblica nel corso della discussione sulla legge di conversione del decreto-legge 20 giugno 2017 n. 91 (recante «Disposizioni urgenti per la crescita economica nel Mezzogiorno»), è stata l’occasione per illustrare un punto di vista generale dell’Associazione sul tema, oltre che a proporre un corpus di primi emendamenti al decreto in discussione.
Il documento 
Il documento consegnato all’attenzione dei Commissari parte dall’esame di alcuni dati che non solo collocano Calabria, Campania, Sicilia, Puglia e Basilicata fra le regioni «meno sviluppate» dell’Unione, ma alle condizioni di queste regioni associano quelle di Abruzzo, Molise e Sardegna (regioni classificate da Ue come in transizione o “phasing out”)
(http://ec.europa.eu/regional_policy/it/funding/).
E’ opinione condivisa, anche da Anci, che le cause attuali del persistente divario consistano essenzialmente in un duplice ordine di fattori: 
a) un deficit nell’offerta pubblica di diritti di cittadinanza (sicurezza personale, legalità, giustizia, istruzione, infrastrutture e trasporto pubblico, cura dell’infanzia e degli anziani, rete di servizi acqua rifiuti e digitale, ecc.); 
b) un deficit di attività produttiva e di lavoro (carente attività manifatturiera, tasso occupazione più bassi, alta disoccupazione, ecc.). 
A questo si deve aggiungere l’amara osservazione che una quota consistente di popolazione residente in alcune province di quelle Regioni, vive ancora sotto il dominio di organizzazioni criminali, le quali di fatto ne limitano fortemente potenzialità di sviluppo e di crescita civile.
L’avvio verso una fuoriuscita dalla crisi 
Nel documento si osserva poi come gli effetti della crisi economica si siano scaricati più severamente sul Mezzogiorno e dunque anche sui suoi comuni; mentre le misure di contenimento della finanza pubblica, che hanno interessato il bilancio nazionale a partire dal 2008, vi si siano riversate in termini di maggiori tagli ai trasferimenti e minori spazi per investimenti (http://www.fondazioneifel.it/studi-ricerche-ifel/item/3112-la-finanza-comunale-in-sintesi-rapporto-2015). 
Per fortuna, come documentano i rapporti Rapporto Svimez
(http://www.svimez.info/images/INIZIATIVE/2016/2016_07_28_anticipazioni_com.pdf) almeno a partire dal 2015, in quelle stesse regioni si comincia a registrare una inversione di tendenza più marcata che nel centro-nord: infatti, il Pil dell’area cresce in quell’anno dell’1% contro lo 0,7% del resto del Paese. La ripartenza del Mezzogiorno, dopo anni di fortissima caduta, è dovuta ai settori dell’agricoltura (+7,3%), del turismo e (seppur in misura più contenuta) al settore cruciale delle costruzioni (+1,1%). 
A trainare la dinamica economica vi è inoltre una significativa ripresa del mercato del lavoro (una crescita di 94 mila occupati, pari al +1,6%), anche se, nonostante i segnali positivi, l’occupazione resta assai lontana dai livelli pre-crisi.
Gli investimenti 
Nello stesso anno prende avvio una generale inversione di tendenza anche nel settore degli investimenti, in generale, e comunali, in particolare. 
La Fondazione Ifel stima la crescita degli investimenti comunali nel 2015 di un +13% (In http://www.fondazioneifel.it/ifelinforma-news/item/8920-vi-conferenza-ifel-anci-sulla-finanza-e-l-economia-locale-appuntamento-a-roma-il-6-luglio#modal, vedi soprattutto relazione di A. Ferri).
La tendenza alla crescita è osservata come ancora debole nel Centro-Nord e più robusta nel Mezzogiorno, grazie anche alla chiusura delle rendicontazioni riferite al ciclo Ue 2007-2013.
Nel 2016, sempre secondo elaborazioni offerte da Ifel, da Roma in su, i Comuni hanno continuato a svolgere un ruolo importante, «assicurando tra molteplici difficoltà una discreta ripresa degli impegni ed immettendo in diversi contesti una maggiore dose di liquidità, grazie allo sblocco dei pagamenti sancito dal passaggio al nuovo saldo finale di competenza» (in http://www.fondazioneifel.it/ifelinforma-news/item/8920-vi-conferenza-ifel-anci-sulla-finanza-e-l-economia-locale-appuntamento-a-roma-il-6-luglio#modal, vedi soprattutto relazione di A. Ferri). Nel Mezzogiorno, invece, si torna più o meno al valore medio 2010-2012, ovvero al valore dello stock annuale che ordinariamente precede la fase di accelerazione nell’utilizzo dei fondi comunitari. A ogni modo, gli investimenti restano una delle principali priorità del Mezzogiorno.
Le priorità di intervento 
Naturalmente, secondo Anci, le politiche di coesione, di derivazione comunitaria, rappresentano un bacino importante di risorse per consentire una maggiore concentrazione territoriale degli interventi di sviluppo e rafforzare le esternalità positive. 
Si ritiene necessario perciò che nel Mezzogiorno si migliori la capacità di assorbimento di queste risorse e che tutta la filiera istituzionale della programmazione e della gestione sappia assicurare velocità ed efficacia alla spesa aggiuntiva di questi fondi (strutturali).
Il sistema dei Comuni italiani, per volumi di investimenti attivati, sono i secondi beneficiari delle risorse della coesione, dopo il sistema delle imprese (http://www.fondazioneifel.it/documenti-e-pubblicazioni/item/8497-la-dimensione-territoriale-nelle-politiche-di-coesione-stato-d-attuazione-e-ruolo-dei-comuni-nella-programmazione-2007-2013-e-2014-2020-sesta-edizione-2015#modal). La capacità di progettazione e di attuazione dei Comuni è dunque dirimente ai fini del perseguimento degli obiettivi di sviluppo della coesione.
Le politiche di coesione, che rappresentano secondo Banca d’Italia
https://www.bancaditalia.it/chi-siamo/funzioni-governance/direttorio/ignazio-visco/visco-
pubblicazioni/4_volume_mezzogiorno_2010.pdf) però meno del 5% della spesa pubblica che affluisce nel Mezzogiorno, non possono tuttavia sostituire il buon funzionamento dell’amministrazione pubblica né assicurare efficacia alle politiche ordinarie. 
Non è la politica di coesione la via maestra per chiudere il divario tra Mezzogiorno e Centro- Nord. È importante, ma non basta. Occorre invece dirigere l’impegno soprattutto sulle politiche generali, che hanno obiettivi riferiti a tutto il Paese e che dovranno concentrarsi sulle condizioni ambientali che rendono la loro applicazione nel Mezzogiorno più difficile o meno efficace.
Da questo punto di vista, il Mezzogiorno non deve essere considerato come un’area omogenea. Insieme alle molte situazioni di difficoltà e ritardo, esiste una presenza significativa di comuni e sistemi locali che riescono a specializzarsi in attività tecnologiche-innovative, dell’agro-industria, del turismo culturale che fanno di quei territori eccellenze a livello mondiali. 
Il focus dell’intervento nel Mezzogiorno dovrà dunque essere spostato dalla domanda di sempre maggiori risorse aggiuntive per colmare deficit di servizi o di infrastrutture rispetto al centro-nord (domanda che comunque dovrà continuare a rimanere sostenuta in costanza di divario), alla richiesta d’impegno affinché le politiche ordinarie possano assicurare un medesimo livello qualitativo di servizi (su salute, istruzione, giustizia, mobilità, ricerca, innovazione, digitale, ecc.) in tutto il territorio nazionale, a beneficio di tutti ed in attuazione del principio di uguaglianza sancito dall’articolo 3 della Costituzione. 
L’attenzione dovrà inoltre concentrarsi sulla situazione particolare della finanza locale nei Comuni del Mezzogiorno, sulle loro condizioni organizzative e di funzionamento e sulle misure necessarie per realizzare in tempi certi gli investimenti necessari per stimolare la crescita e l’occupazione. 
In questa logica, è necessario che diventi operativo il principio di riequilibrio territoriale previsto nell’articolo 7-bis della legge 27 febbraio 2017 n. 18.
Le principali richieste dell’associazione 
Ciò detto, entrando nel merito del provvedimento in discussione, Anci ha espresso innanzi tutto apprezzamento per l’obiettivo del Governo contenuto nelle misure ivi previste.
Ha poi avanzato alcune prime proposte e misure finalizzate a valorizzare la centralità dei Comuni nelle politiche di investimento e ad assicurare continuità ad alcuni programmi di intervento già in essere o solo avviati.
In particolare, per sostenere gli investimenti di riqualificazione urbana delle città meridionali, è stato richiesto prioritariamente l’avvio dei progetti ammessi a finanziamento del «Piano nazionale per la riqualificazione sociale e culturale delle aree urbane degradate», di cui ai commi 432-434 della legge 23 dicembre 2014 n. 190. Dall’istruttoria svolta dal Comitato di valutazione dei progetti, istituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, risulta che degli 870 progetti presentati da altrettanti comuni ne sono risultati ammissibili a finanziamento circa 451, per un fabbisogno che supera di più di tre volte la dotazione iniziale del fondo, fissata a circa 200 milioni di euro. La dotazione in questione, per effetto di successivi interventi, risulta ad oggi ridotta a circa 78,5 Meuro e non è in grado di coprire il fabbisogno.
La richiesta di incremento del Fondo intende in effetti assicurare copertura e complementarietà di effetti a tutti gli interventi che lo Stato, nell’ambito di una strategia unitaria, ha promosso a partire dal 2015 per sostenere la riqualificazione delle aree degradate e le periferie urbane in gran parte di città piccole, medie e metropolitane del Paese, con particolare attenzione a quelle del Mezzogiorno.
Altra proposta avanzata dall’Anci riguarda il rifinanziamento del programma «PAC servizi di cura all’infanzia e agli anziani non-autosufficienza», necessario per non interrompere servizi fondamentali per le comunità interessate.
Il programma in oggetto, negli anni della sua attuazione, ha consentito nei Comuni in cui è intervenuto che venissero assicurati servizi fondamentali per la cittadinanza, in linea con gli obiettivi del piano nazionale di riforma in materia di welfare, inclusione sociale e contrasto alla povertà.
Tale programma si concluderà il 30 giugno 2018; è vero che si registrano ritardi in alcuni Comuni, ma molte amministrazioni locali, per effetto delle regole di rendicontazione della spesa in riparti e per ambiti sociali di zona, già oggi hanno esaurito le risorse per dare continuità agli interventi avviati. Le difficoltà di bilancio causate dalla profonda crisi che ha colpito il Paese e che persistono in molte amministrazioni locali del Mezzogiorno (e non solo), con la chiusura del programma, se non si interviene per dare continuità all’intervento, rischiano di interrompere l’erogazione di questi fondamentali servizi, causando un vulnus grave nel godimento dei diritti sociali costituzionalmente garantiti di ampie fette di popolazione.
Fra le altre proposte avanzate da Anci vi sono: l’istituzione di un fondo rotativo per la progettazione, dedicato alla velocizzazione degli interventi co-finanziamento dalla politica di coesione; una migliore finalizzazione della previsione di forme di assistenza tecnico-amministrativa per i Comuni, attraverso un piano concertato e l’individuazione di un soggetto attuatore pubblico e, infine, l’allargamento a tutte le regioni del Mezzogiorno delle Zone Economiche Speciali (Zes).
 
(*) Capo Area Politiche di coesione territoriale Anci