- Gennaio 4, 2017
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Libri – Polis, Fuori della metropoli non c’è più nulla. Intervista a Massimo Ilardi
Massimo Ilardi insegna Sociologia urbana presso la Facoltà di Architettura di Ascoli Piceno, ...Massimo Ilardi insegna Sociologia urbana presso la Facoltà di Architettura di Ascoli Piceno, Università di Camerino. È direttore della rivista «Gomorra». Tra le sue pubblicazioni: L’individuo in rivolta (Costa & Nolan 1995), Negli spazi vuoti della metropoli (Bollati Boringhieri 1999), In nome della strada. Libertà e violenza (Meltemi 2002), e le piuù recenti La casa di Trastevere e Il tempo del disincanto (entrambi per Manifesto Libri).
L’urbanizzazione. Il nostro pianeta sta sempre più urbanizzandosi: ormai, per la prima volta nella storia dell’umanità, il numero di chi vive nelle città ha superato quello della popolazione rurale. E, se l’attuale tendenza sarà confermata, alla metà del secolo corrente circa i due terzi della popolazione vivrà in ambito urbano. Come valuti il fenomeno? Davvero “l’aria delle città rende liberi”?
E’ ormai da qualche decennio che non esiste più alcuna differenza tra città e campagna, tra artificiale e naturale. In qualsiasi punto del territorio noi viviamo siamo comunque dentro la grande città. Si può dire che fuori dalla metropoli oggi non c’è più nulla. E’ stato il mercato a unificare mondi e società una volta rigidamente separati. Ma questo non vuol dire che culture, mentalità, stili di vita, linguaggi siano stati resi uguali e organici alle istituzioni del mercato stesso. La spinta inarrestabile al consumo, basato sui desideri individuali, sul primato del presente, sulla negazione della mediazione politica e di conseguenza del futuro, sul conflitto irriducibile tra regole e domanda di libertà ha reso complicato il tentativo del mercato di creare una società armonica e pacificata. E’ proprio la richiesta di una libertà materiale, che è alla base di qualsiasi desiderio e che in società come le nostre, prive di valori metafisici, viene proiettato direttamente sul territorio per essere soddisfatto immediatamente, fa ancora una volta della città il ‘luogo’ dove si può respirare la possibilità di essere più liberi.
La questione del limite. Negli anni ’20 Le Corbusier pensava la modernità come espansione, mezzo secolo dopo Insolera dice che la modernità è darsi un limite. Nella città immaginaria di Zoe (nelle Città invisibili di Calvino) priva di qualsiasi confine, interno ed esterno, si finisce con lo smarrirsi. Insomma ci vogliono i limiti e i confini (ammesso che si tratti della stessa cosa)?
Dove comincia e dove finisce la metropoli contemporanea? Nessuno lo sa. E comunque chi stabilisce un limite? Il mercato non ha limiti, colonizzerebbe l’universo se potesse. Lo stesso consumo non si pone limiti. Può il desiderio stabilire dei confini? Solo gli Stati nazionali per salvare la loro sovranità pongono frontiere e barriere. E d’altra parte si è mai visto un individuo metropolitano smarrito e spaesato? Dove, se non in Calvino? Ma le città di Calvino, con la sua ricerca ossessiva di modi e parametri mentali minuziosi con cui mapparle e interpretarle, andavano già allora in senso contrario ai processi reali in corso. Nessuna grande città si può rinchiudere dentro un catalogo dettagliato e precostituito. Cerca di farlo solo chi non vuole accettare i rischi della vita metropolitana e si rinchiude nei suoi processi mentali autoreferenziali
Il rapporto con il passato. Il rapporto con il passato, con le opere architettoniche del passato e i siti archeologici, è oscillante tra imbalsamazione e assenza di memoria: città come parco a tema per turisti, i Grandi Eventi come riverniciatura superficiale…Ad es. ritieni che il Comune dovrebbe salvare negozi e caffè di valore storico, come fanno a Parigi?)
Il passato permane solo se ha la capacità di vivere oltre la propria epoca e di recepire senso e significato dal presente. Altrimenti diventa un simulacro, come la statua di Marco Aurelio nella piazza del Campidoglio, per la gioia di turisti e bambini. Non deve essere il culto dell’origine, nè lo Spirito della storia, presenza eternamente perdurante che racchiude in sè passato e avvenire, nè la potenza del tempo in quanto incarna lo Spirito della storia a guidarci nella conservazione del passato. Ma quello che Benjamin chiamava "il balzo di tigre nel passato" che solo la pienezza della vita presente ci permette di attuare. Chi crede che solo il presente conta può forse salvare il passato da suo destino di parco a tema.
La rappresentazione della città. Oggi occorre una nuova rappresentazione e un altro racconto per tentare di costruire una qualche idea comune e adeguata del vivere in città. Chi potrà costruirla? Urbanisti? Amministratori? Scrittori? Artisti? Sociologi?
Non so chi potrà ricostruire una qualche idea comune del vivere in città. Prima era la politica a farlo. Ma ora la politica non c’è più o, meglio, non c’è più una socializzazione della politica. Si è demonizzato il conflitto e il risultato è stato una società impolitica. D’altra parte può vivere la politica senza conflitto? Il mercato cerca di creare società ma poi non ha valori per governarla. Può solo blindarla, militarizzarla, spiarla attraverso gli ultimi ritrovati della tecnologia. E allora? Forse dovremo abituarci a non avere più un idea in comune. La metropoli è la rappresentazione di questa mancanza. Ma Kant non ha detto che un governo è possibile anche in un popolo di diavoli? (flp)