- Marzo 23, 2017
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Libri – Metropoli plurale: ma nessun Piano Regolatore può “regolarla” per intero
Domani 24 marzo alle 17,30 presso l’Aula Magna del Dipartimento di Architettura di Roma Tre (e...Domani 24 marzo alle 17,30 presso l’Aula Magna del Dipartimento di Architettura di Roma Tre (ex Mattatoio) si terrà la presentazione del libro "Verso la realizzazione delle micro città di Roma"
E se Roma, città informe e inafferrabile, si dovesse considerare come una metropoli plurale, un arcipelago formato da tanti frammenti urbani? Questo volume collettivo curato da Marco Pietrolucci – Verso la realizzazione delle micro città di Roma, con i contributi di G. Caudo, F. Cellini, D. Modigliani, F. Purini (Skira, pp.315) – prende le mosse da una fondamentale intuizione, a sua volta parzialmente debitrice nei confronti del Piano Regolatore Generale del 2008. Roma, che pure nella sua storia urbanistica, e fino al Piano Regolatore del 1965, ha privilegiato la linea retta, l’asse (ad es. l’Ostiense, la Colombo e la via del Mare, e poi tutto il disegno dello SdO, successivamente fallito), va invece pensata come ruota, come anello, così come l’ha configurata il Grande Raccordo Anulare. E proprio partendo dalla metafora della ruota l’assessore all’Urbanistica delle giunte Rutelli, Mimmo Cecchini, ha cominciato a gettare una prima bozza del nuovo, tormentato Piano Regolatore (che poi trasferì a Ovest una buona parte delle cubature. Ma questa è un’altra storia). Dunque intorno alla città centrale, ovvero l’Urbe (con circa 800.000 abitanti) ruotano 9 microcittà (con una media di 200.000 abitanti ciascuna), tenendo conto che solo il Primo Municipo potrebbe contenere l’intera Parigi! Ma il volume curato da Pietrolucci non si limita a registrare la visione urbanistica del PR del 2008 , piuttosto ne svolge una critica puntuale poiché quel piano non ha saputo valorizzare abbastanza il nesso tra microcittà e il loro supporto fisico (paesaggio, idrologia, orografia, parchi…): la suddivisione in microcittà, in molteplici polarità urbane non è altro che il tentativo di assecondare un assetto topografico “naturale” della città. Franco Purini, nell’intervento finale osserva che Roma, come del resto Napoli e Palermo, a causa della sua espansione disordinata e dei flussi migratori ha del tutto stravolto ogni “forma urbis”. Eppure In queste pagine ci viene saggiamente ricordato che nessun Piano Regolatore deve avere la pretesa di regolare ogni aspetto della struttura urbana (questo è esattamente il demone del controllo, la hybris della modernità). E infatti il Grande Raccordo si presenta come un singolare alternarsi di spontaneità e perfino disordine dell’insieme – nessuno lo ha veramente programmato in questo modo – e invece logica stringente delle sue parti. (flp)