- Novembre 18, 2016
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Libri – Avvistamenti, Roma in Georgia, Napoli in Florida, Milano nell’Ohio…
Lo sapevate che negli Stati Uniti ci sono molte città con nomi italiani? Alberto Giuffr&egrav...Lo sapevate che negli Stati Uniti ci sono molte città con nomi italiani? Alberto Giuffrè ha dedicato il suo reportage americano – Un’altra America, Marsilio (pp. 126, euro 15) – a 8 città che si trovano in altrettanti stati dell’Unione e che hanno nomi italiani: Roma (Rome) in Georgia (ha 7 colli e 1 chiesa per ogni 300 abitanti, e il culto del football), Venezia (Venice) in California (ha il Palazzo Ducale e gli uffici di Google), Palermo in Nord Dakota (la gente ci va a far soldi, per il petrolio), Firenze (Florence) in Alabama, Genoa nel Nevada (si chiama così perché la leggenda vuole che sia stata fondata alla fine dell’0’800 da due tifosi rossoblu!), Napoli in Florida (se mangiate una pizza al Caffè Luna ascolterete Pino Daniele), Milano nell’Ohio(strapiena di italo-americani, vi è nato Edison), Verona nel New Jersey (vi fabbricano bandiere). All’autore abbiamo rivolte alcune domande.
Dal suo singolare viaggio-inchiesta affiorano gli aspetti contraddittori dell’American Dream: diritto alla ricerca della felicità e ossessione dell’arricchimento, Thoreau e Ford, religiosità viscerale e laicismo della vita pubblica (potremmo dire con una forzatura: Trump e Dylan). Quale elemento prevale?
Le città che ho visitato hanno un nome italiano ma si sono rivelate profondamente americane nella loro identità. Il sogno americano fa parte di questa identità e si manifesta in varie forme e in vari campi. Con un tratto in comune: studiare e lavorare sodo per raggiungere un obiettivo. Fallire, rialzarsi e continuare a inseguire. Penso ad esempio a Lee Jones, una delle persone che ho intervistato. Ha realizzato dal nulla una realtà come il Culinary Vegetable Institute a Milan, nell’Ohio, in cui viene smentito il luogo comune degli Usa come patria del cibo-spazzatura.
Presenza dell’Italia e degli italo-americani nell’immaginario americano. Nel film di Turturro “Mac”, dedicato al padre, si apprende che gli italiani erano richiesti come scalpellini perché siamo il paese di Michelangelo…L’identità è sempre una costruzione culturale?
Nel mio viaggio racconto le storie dei nuovi italiani che si trasferiscono in America. Per trovare ad esempio lavoro nella cosiddetta Silicon Beach a Venice, in California. Un mondo fatto di start up e nuove tecnologie. Non sono partiti con la valigia di cartone. Avrebbero avuto una vita e una carriera brillante anche in Italia ma cercavano qualcosa in più che hanno trovato dall’altra parte dell’Oceano. Basta andare però in città come Verona, nel New Jersey, per trovare ferite ancora aperte. Quelle degli italo-americani che sono cresciuti tra discriminazioni e violenze. Hanno impiegato anni a cercare riscatto e non sopportano i vecchi stereotipi riproposti in serie tv come i Soprano, girata proprio a "Verona".
Uno degli effetti positivi della globalizzazione è che ci si può sentire “di casa” anche in città diverse dalla propria. Lei si è sentito di casa in qualche città americana?
Non solo a Verona, dove la forte presenza di italo-americani crea un’atmosfera simile a quella di casa nostra. Penso anche a Rome, in Georgia che, curiosamente, sorge su sette colli, è attraversata non da uno ma da tre fiumi e ha davanti al municipio una copia della lupa Capitolina, dono di Mussolini ai tempi del fascismo. Lì ha sede anche la fabbrica della Pirelli più grande di tutto il Nord America. A guidarla c’è un italiano, Luca Frisiani, che a Rome vive insieme alla sua famiglia. Mi hanno mostrato come vive una famiglia italiana in un angolo di America tutto Dio, pistole e football americano. Mi hanno fatto sentire a casa, anche grazie a un risotto: per me hanno utilizzato anche l’ultima bustina di zafferano che avevano nella dispensa.
4 In Italia si parla spesso dell’altra America, o della contro America, o dell’America profonda del Midwest o dell’America alternativa della California, etc. Ma non sarà che l’America è una, assai più compatta di quello che noi italiani pensiamo, certo conflittuale ma anche irriducibilmente patriottica e orgogliosa della propria bandiera (quando Dario Fo negli Usa faceva battute sulla bandiera nessuno rideva!)?
Le città che racconto nel libro sono sparse in tutto il territorio, da Nord a Sud, da Est a Ovest. È straordinario come un Paese così grande e vario riesca a ritrovarsi unito sotto alcuni valori fondanti. A Verona, nel New Jersey, fino a qualche anno fa (adesso ha chiuso) c’era la più grande fabbrica di bandiere di tutti gli Usa. Da lì, ad esempio, è uscita la bandiera che gli americani hanno piantato sulla luna. Nella stessa fabbrica hanno anche riparato la bandiera che, dopo l’attentato alle Torri Gemelle, era rimasta in piedi a brandelli. A rimetterla a nuovo ci ha pensato una signora anziana arrivata negli Usa dalla provincia di Campobasso nel dopoguerra. Una vita a cucire bandiere ma quando si è trattato di mettere le mani su quella in particolare avvertiva l’importanza del momento. Era emozionata e orgogliosa. (flp)