- Gennaio 27, 2017
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Libri – Avvistamenti, Limiti alla bulimia delle città ma meno limiti alla visione di chi le abita. Intervista a Giovanni Di Iacovo
Di Iacovo è scrittore e sceneggiatore, oltre che assessore alla Cultura di Pescara dal ...Di Iacovo è scrittore e sceneggiatore, oltre che assessore alla Cultura di Pescara dal 2014). L’esordio avviene nel 1998 con il volume Sporco al sole. Racconti del sud estremo pubblicato da Besa. Nel 2006 ha pubblicato per Palomar il romanzo Sushi Bar Sarajevo . Nel 2013 è uscito per Zero91 il romanzo La Sindrome dell’Ira di Dio. Lo stesso anno è uscito il racconto-intervista Nella carne dei miei sogni scritto insieme al giornalista Simone Gambacorta. Nel 2014 è uscito il romanzo Labbra al Neon per GZ Editori e, un mese dopo: Noi siamo la notte. Viaggio nelle culture goth e industrial per l’editore Galaad. Ha fondato dal 2001 il Festival delle Letterature dell’Adriatico , ancora in corso, che si tiene ogni anno a Pescara.
L’urbanizzazione. Il nostro pianeta sta sempre più urbanizzandosi: ormai, per la prima volta nella storia dell’umanità, il numero di chi vive nelle città ha superato quello della popolazione rurale. E, se l’attuale tendenza sarà confermata, alla metà del secolo corrente circa i due terzi della popolazione vivrà in ambito urbano. Come valuti il fenomeno? Davvero “l’aria delle città rende liberi”?
Ti dico la verità, il fenomeno ormai ha smesso di preoccuparmi. Non può essere altrimenti, ci si doveva pensare prima. Per le aree rurali si sarebbe dovuta costruire una via per un diverso sviluppo, guidarne il futuro parallelamente all’ampliamento delle città. Invece le aree rurali sono solo state svuotate di significato, di opportunità, di futuro.I borghi che non si estingueranno mai sono quelli che hanno deciso, scelto, di essere davvero avamposti di tradizioni e culture, bellezza antica e sogno, nostalgia e fascino, splendida natura, ossigeno, rigenerazione e magari, ben venga, anche enogastronomia. Questi sono i luoghi rurali che non scompariranno mai, perché sono una necessità dell’animo umano, un balsamo che verrà cercato sempre. Nella mia regione, l’Abruzzo, sono più gl’inglesi che comprano case nei paesini che gli italiani. Ma nessuno parla inglese nei paesini. Un’occasione persa quella di non aver saputo accompagnare per mano l’evoluzione dei borghi invece che abbandonarli allo svuotamento irreversibile che c’è ora. Io ho vissuto in tante città diverse, dalla mia infanzia in un micropaese a capitali come Londra, Berlino e Tokyo. La città ha gli orridi e disumanizzanti difetti della città che ripetere qui suonerebbe ottocentesco. Ma ormai possiamo solo concentrarci nell’umanizzare (o re-umanizzare) le città, difendere gli spazi verdi, illuminarne il volto, per far sì che l’urbanizzazione non coincida automaticamente con le distopie alla Metropolis o dei romanzi di Philip K. Dick. Non cito quelle di Orwell perchè ormai sono state già ampiamente realizzate. Anche lì un passaggio dal rurale all’urbano: dall’agreste Fattoria degli Animali alle Città dei Videopoker.
La questione del limite. Negli anni ’20 Le Corbusier pensava la modernità come espansione, mezzo secolo dopo Insolera dice che la modernità è darsi un limite. Nella città immaginaria di Zoe (nelle Città invisibili di Calvino) priva di qualsiasi confine, interno ed esterno, si finisce con lo smarrirsi. Insomma ci vogliono i limiti e i confini (ammesso che si tratti della stessa cosa)?
Limiti all’ipertrofia, alla bulimia delle città ma, cavolo, meno limiti alla visione di chi le abita. Nell’attuale fase culturale e sociale abbiamo un cittadino con limiti e confini tutti mentali, manca in qualunque campo il coraggio di osare idee forti, alla politica manca il coraggio di tentare il non abituale, la casa editrice chiude i confini dei contenuti per timore che il mercato non accolga e l’uomo di cultura autolimita la sua creazione per non andare fuori dai confini e imbattersi nei rifiuti. Le città devono darsi dei limiti, certamente e urgentemente per arrestare la de-umanizzazione della vita nel loro corpo, e al contempo gli abitanti delle città devono tornare a far sì che la loro mente vada oltre e superi i confini di quel nuovo cantiere e di quei tre cassonetti.
Il rapporto con il passato. Il rapporto con il passato, con le opere architettoniche del passato e i siti archeologici, è oscillante tra imbalsamazione e assenza di memoria: città come parco a tema per turisti, i Grandi Eventi come riverniciatura superficiale…Ad es. ritieni che il Comune dovrebbe salvare negozi e caffè di valore storico, come fanno a Parigi?).
Sicuramente, la bellezza di una città è anche e soprattutto nelle sue rughe, non solo nelle sue nuove parrucche fluo.
La rappresentazione della città. Oggi occorre una nuova rappresentazione e un altro racconto per tentare di costruire una qualche idea comune e adeguata del vivere in città. Chi potrà costruirla? Urbanisti? Amministratori? Scrittori? Artisti? Sociologi?
Ogni città merita che la propria idea di futuro sia elaborata di concerto, attraversomoderni urbanisti che traducano senza supponenza idee e ragionamenti di storici, sociologi e uomini di cultura che vivono quella città.Ma io credo che, come sempre, quest’alta missione sarà svolta invece solo da qualche stanco dirigente comunale dell’urbanistica, e la moglie sceglierà l’arredo urbano. (flp)