• Settembre 13, 2019
di Redazione Anci

Focus scuola

Di Martino (ass.Torino): “Applicazione sentenza Cassazione su pasto casa lascia nodi da sciogliere”

Intervento dell’assessore al Comune torinese il cui ricorso ha portato all’annullamento della sentenza della Corte di Appello di Torino del 2016 che apriva al pasto da casa. “Da affrontare questioni su: ordinamenti scolastici, ricadute sindacali e sui Comuni, uso delle risorse umane e finanziarie”
Di Martino (ass.Torino): “Applicazione sentenza Cassazione su pasto casa lascia nodi da sciogliere”

La Corte di Cassazione a Sezioni Unite, con sentenza del 30 luglio 2019, ha ribaltato la decisione della Corte di Appello di Torino n. 1049/2016 che aveva affermato il diritto dei genitori degli alunni delle scuole dell’obbligo sia di scegliere per i propri figli tra il servizio della refezione scolastica ed il pasto da casa; sia il relativo consumo nei locali della scuola nel medesimo orario del servizio di ristorazione. La Suprema Corte ha stabilito che non esiste un “diritto soggettivo perfetto ed incondizionato” a mangiare il “panino ” portato da casa “nell’orario della mensa e nei locali scolastici” e che la gestione del servizio di refezione spetta “all’autonomia organizzativa” delle scuole.
In concreto, l’interpretazione più comune è che il pasto domestico non sia vietato, ma demandata alle autonomie scolastiche l’accettazione delle istanze di fruizione del pasto da casa da parte dei genitori. Tale decisione avviene nell’ambito di un procedimento amministrativo al cui interno la scuola valuta la sussistenza di alcune condizioni. Tra queste le principali sono:
1) la congruenza della fruizione del pasto domestico con le esigenze correlate alla piena realizzazione degli obiettivi educativi del progetto formativo legato all’offerta di tempo pieno e prolungato secondo l’ordinamento vigente, che comprende come parte integrante il tempo dedicato alla mensa scolastica.
Tali obiettivi (educazione all’alimentazione sana, socializzazione e condivisione del cibo in condizioni di uguaglianza e nell’ambito di un progetto formativo comune), nel concorrere a determinare la qualità degli apprendimenti, assicurano l’effettivo esercizio del diritto all’istruzione.
2) la sostenibilità finanziaria e di risorse umane da usare per il pasto domestico, la cui accettazione dovrebbe avvenire senza aggravio di spesa sia per la scuola sia per i Comuni. Soprattutto la spesa non dovrebbe ricadere sul servizio della refezione scolastica sostenuto dalle famiglie.
3) la sostenibilità della responsabilità contrattuale o da contatto sociale, vista la commistione nello stesso locale delle due modalità di fruizione del pasto e la conseguente richiesta di vigilanza da parte dei docenti anche per la possibilità di scambio di alimenti tra alunni.
A mio parere, la valutazione di questi punti, comporta alcuni nodi da sciogliere in termini di:
– ordinamenti scolastici: compatibilità della fruizione del pasto domestico con l’unitarietà del progetto formativo del tempo pieno e del tempo prolungato, in termini di socializzazione e condivisione, anche del cibo, in condizioni di uguaglianza; possibilità o meno di mantenere/ottenere classi a tempo pieno e prolungato qualora tutti i genitori richiedano il pasto domestico anche senza servizio di refezione scolastica
– ricadute sindacali: compatibilità con la funzione docente di assistenza educativa alla mensa stabilita dal CCNL di lavoro con la mera funzione di vigilanza agli alunni che fruiscono del pasto domestico e attribuzione agli stessi docenti di un livello aggiuntivo di attenzione per la responsabilità di controllare che non avvengano scambi di alimenti tra gli alunni.
– uso di risorse umane e finanziarie: possibilità o meno da parte della scuola di distogliere dalle attività istituzionali per permettere la fruizione del pasto domestico, risorse umane per la vigilanza degli alunni se separati dalle loro classi e per la pulizia del refettorio nella parte destinata al pasto domestico, ovvero retribuire attività aggiuntive.
– ricadute sui Comuni: la variazione alla SCIA del refettorio che alcune ASL, tra cui l’ASL Città di Torino, impongono in ogni singola scuola in caso di accettazione di alunni che fruiscono del pasto domestico, richiede un costo di circa 1.500 euro. Il Comune è tenuto o obbligato ad assumersi spese conseguenti a un servizio non di sua competenza e su scelta delle singole scuole che se ne assumerebbero in toto la responsabilità anche dal punto di vista organizzativo ed economico?
Il tema è stato discusso in sede di Conferenza delle autonomie scolastiche, sede di confronto tra il Comune di Torino e le istituzioni scolastiche cittadine.
Ne è scaturito un documento condiviso con la linea da seguire che metto a disposizione di Focus

Antonietta Di Martino
Assessore all’istruzione e all’edilizia scolastica della Città di Torino

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