- Ottobre 9, 2025
Legalità
Beni confiscati, Ragonesi: “Su beni sequestrati si parta da programmazione, governo agisca su tema”
Zevi (assessore Comune di Roma): "Le città possono essere anche promotrici di un dibattito internazionale su questo tema"
“I comuni italiani sono 7.995, quelli destinatari di beni confiscati sono 1.110, circa un settimo. Di questi, i capofila di piano di zona sociale sono 228 (di cui 68 capoluogo di provincia). Sono invece 882 i piccoli comuni che non hanno capacità neanche di programmazione sociale: fare programmazione sui beni confiscati significa partire non dai beni confiscati, ma dalla programmazione sociale di questi comuni, e il cluster dei 1.110 va ridotto ai meno di 300, perché loro hanno una responsabilità maggiore rispetto a tutti gli altri destinatari, perché devono sviluppare la progettazione. Se c’è una cosa che vorremmo chiedere al Governo, è un piccolo emendamento che permetta risorse molto limitate ma che favoriscono la programmazione della gestione dei beni da parte dei comuni”. Lo ha detto il capo dell’area sicurezza e legalità dell’Anci Antonio Ragonesi nel corso del seminario “Beni confiscati alla criminalità organizzata”, che si è svolto alla Casa del Jazz a Roma.
“Per la prima volta all’interno dell’associazione dei comuni italiani si crea un gruppo di lavoro peer to peer tra le città che si aiutano, in una visione di mutua capacità di supporto amministrativo, nell’aggredire tutta una serie di problematiche che riguardano il tema della gestione dei beni confiscati”, con l’obiettivo di “realizzare un prodotto che parli il linguaggio dei colleghi che molto spesso negli uffici si sentono un po’ soli nell’affrontare tutte queste difficoltà nella gestione. Le norme troppo spesso sono foriere poi di problematiche: non è che è fissato il principio che tutto viene da sé. E in particolare il gruppo di lavoro ha osservato, in questo confronto tra le città, che c’è una recente norma del codice antimafia che permette alle amministrazioni delle sanatorie semplificate: tuttavia – prosegue Ragonesi – nessun comune ancora va attuata. Perché è una novità, e perché le resistenze di corporativismi o anche culturali e quell’isolamento, quel sentirsi da soli nel procedere in un qualcosa che non è delineato, chiarito, su cui non ci sono linee guida, diventa motivo ostativo”.
“Questo lavoro che le città stanno portando avanti senza chiedere modifiche normative è proprio una buona condotta di amministrazione locale, cioè attuare quello che c’è, confortarsi gli uni con gli altri nell’andare in una direzione condivisa e credo che sia l’esercizio che in parte manca, nel senso che quello che ci serve non è tanto le risorse da investire sui beni confiscati. Quello che invece a noi serve per i beni confiscati – conclude Ragonesi – è la programmazione e la stabilità, anche di piccole risorse, ma stabili e che non abbiano vincoli dalla progettazione all’intervento di ristrutturazione, manutenzione ordinaria o straordinaria, o anche al contributo sulla demolizione e ricostruzione”.
“Noi, come città, abbiamo spesso il compito di stimolare i governi a fare meglio su tante materie, e lo facciamo in una dialettica che è sempre utile, anche se talvolta faticosa. Su questo argomento noi dobbiamo fare i compiti a casa: dobbiamo dimostrare che una volta che il bene ci arriva noi poi lo gestiamo bene. Dopo aver fatto i compiti a casa noi, dobbiamo chiedere secondo me allo Stato un investimento maggiore in risorse per questi beni, perché chiaramente noi molti beni facciamo fatica anche a prenderceli per quanto poi dobbiamo spendere di manutenzione”. Così Tobia Zevi, assessore al Patrimonio e alle Politiche abitative di Roma Capitale e Presidente del Forum Cittadino sulle politiche in materia dei beni confiscati alla criminalità organizzata.
“Noi abbiamo una distanza oggi, dal punto di vista numerico tra gli immobili che vengono sequestrati nei procedimenti giudiziari e che poi sostanzialmente transitano attraverso i tribunali, all’agenzia e poi al destinatario finale, che è infinitamente superiore al numero di immobili che poi veramente viene assegnato alle varie amministrazioni, sia quelle locali, sia quelle centrali. Questo perché – prosegue Zevi – molto spesso i beni sono gravati da debiti, da ipoteche, da situazioni varie. Qui naturalmente c’è una grande sfida per tutti noi: in questo senso, le città possono essere anche promotrici di un dibattito internazionale, perché oggettivamente noi dovremmo cercare di essere più rapidi. Penso sia molto importante dare un segnale ai cittadini, perché questa intuizione della confisca e della rifunzionalizzazione dei beni confiscati, del “follow the money”, cioè cercando di andare a perseguire i patrimoni – conclude Zevi – è una pietra miliare nella storia, anche culturale, del nostro Paese”.
FONTE ADNKRONOS



