- Giugno 30, 2014
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Le nomine nei cda possono tornare ai vecchi metodi – Tratto da Il Sole 24 Ore del 30/06/2014
Con involontaria ironia, l'articolo 16 del decreto legge 90, paradossalmente titolato "Nomina d...Con involontaria ironia, l’articolo 16 del decreto legge 90, paradossalmente titolato "Nomina dei dipendenti nelle società partecipate", abroga l’obbligo di inserire nei consigli di amministrazione delle società partecipate proprio i dirigenti e gli altri dipendenti delle amministrazioni pubbliche controllanti previsto dal decreto spendingreview del 2012.
Viene così completata la demolizione dell’articolo 4 del Dl 95/2012 del Governo Monti, che aveva avuto l’ambizione di portare alla liquidazione le società strumentali delle pubbliche amministrazioni e, oltre a ciò, di neutralizzare il ruolo di (presunti) poltronifici attribuito alle società pubbliche, riducendo drasticamente il numero di consiglieri nominati dalla politica.
Con il decreto 90 si ripristina, di fatto, la situazione previgente, consentendo alle pubbliche amministrazioni di nominare chi preferiscono, che sia o meno dirigente pubblico. La decisione, in verità, è condivisibile e prende atto del fatto che l’inserimento nei Cda dei dipendenti delle amministrazioni controllanti ha creato problemi sia di coordinamento normativo con quanto previsto dal decreto legislativo 39/2013 in tema di incompatibilità, sia di sostanza, visto che, soprattutto nelle amministrazioni locali sono sorti non pochi problemi di "convivenza" tra esponenti dell’organizzazione comunale e amministratori esterni, spesso derivati più da un diverso stile di gestione che non da obiettive differenze di vedute o di interessi. Difficile e faticoso, ancora, è stato riuscire a trovare i dipendenti comunali disponibili ad andare, gratuitamente, nei consigli di amministrazione (e costringendoli, peraltro, a pagarsi un’assicurazione di responsabilità civile), con la conseguenza che vi è stata una crescente e forzosa diffusione degli amministratori unici.
Al di là del merito, la norma è assolutamente oscura nella sua formulazione, perché richiede che 2 amministratori su 3 (comma 4) o 3 su 5 (comma 5) siano «scelti d’intesa tra l’amministrazione titolare della partecipazione e quella titolare di poteri di indirizzo e vigilanza. Una terminologia chiarissima nel mondo ministeriale, dove l’amministrazione che detiene la partecipazione è il ministero della Economia, mentre il ministero "titolare di poteri di indirizzo e vigilanza" è di regola quello competente per settore. Del tutto incomprensibile, invece, per chi viene dalle amministrazioni territoriali, dove una distinzione di tal genere è inesistente, dal momento che esse di regola coincidono, a meno che non si pensi di dover chiedere alle autorità di ambito o di settore di concertare i membri del Cda, con evidente rinuncia al dovuto ruolo di terzietà rispetto ai soggetti gestori.