• Agosto 5, 2013
di anci_admin

Anci Rivista

N. 7/8 LUGLIO/AGOSTO 2013 – FASSINO PRESIDENTE

"La tragedia di cui è stata vittima Laura Prati dimostra come sulla figura del sindaco si sca...

“La tragedia di cui è stata vittima Laura Prati dimostra come sulla figura del sindaco si scarichino pesi e responsabilità di ogni tipo, spesso improprie, spesso pericolose. Un punto di riflessione per il governo e le amministrazioni centrali. Lo Stato dev’essere al fianco dei sindaci ogni giorno, non soltanto nel momento del dolore: anzitutto per accompagnare il nostro ruolo, sempre più perno fondamentale del sistema democratico". Piero Fassino è presidente dell’Anci da meno di un mese; la tragica morte del sindaco di Cardano al Campo l’ha colpito profondamente dal punto di vista umano, ma non solo. Quell’evento tocca i temi dei presìdi locali della legalità e della sicurezza, sollevati in una lettera indirizzata al ministro dell’Interno Alfano; ma soprattutto va ad incidere, per la sua parte, sulla questione centrale che il sindaco di Torino e neopresidente Anci ha posto sin dalla sua elezione del 5 luglio: il ruolo dei comuni nel Paese, la ridefinizione dell’architettura delle relazioni dei Comuni con il governo, “oggi al massimo dell’usura”.

Presidente, nel discorso di insediamento lei ha detto che i sindaci sono il reale punto di tenuta del sistema democratico. Quest’anno ricorrono i vent’anni della legge 81 sull’elezione diretta, una delle pochissime riforme che sono riuscite a dare stabilità ad un livello di governo nel nostro Paese…
Il sistema elettorale dei comuni ha garantito una stabilità che prima non si conosceva. L’investitura diretta da parte dei cittadini dà ai sindaci una legittimazione così forte da non essere messa in discussione da dinamiche politiche o addirittura interne ai partiti, come accadeva una volta. Il sindaco è in Italia la figura istituzionale più conosciuta e riconosciuta, perché i cittadini vedono nel Sindaco il capo della propria comunità; il sindaco è il naturale destinatario di ogni richiesta, di ogni ansia e aspettativa, anche di questioni che il livello comunale non ha possibilità di gestire: penso ai lavoratori di un’azienda in crisi,  messi in cassa integrazione o in mobilità. Si rivolgono anzitutto al primo cittadino perché – anche se non ha competenza in materia industriale- è l’autorità più vicina, perché considerano che abbia una capacità di azione e persuasione che li tutela. Un patrimonio di fiducia e credibilità che altri livelli istituzionali stentano ad ottenere.

Lei ha anche aggiunto che, indebolendo il ruolo dei sindaci, si rischia di segare il ramo sul quale siamo  seduti…
E’ un errore, una grossa miopia ridurre continuamente l’autonomia dei sindaci e dei comuni, e ridurne le risorse: rendendo così  difficile corrispondere e rispondere alle domande dei cittadini. Significa, esattamente, indebolire un punto di tenuta democratica e di tutto il sistema.

Per quanto importante, anzi centrale, il tema delle minori risorse non è l’unico punto critico…
Infatti. Tutti i pilastri su cui è stato costruito il rapporto tra comuni e Stato sono lesionati. E’ lesionato l’impianto istituzionale perché siamo in una fase di ridisegno dell’intero assetto: riforma costituzionale, abolizione delle provincie, istituzione delle città metropolitane, unificazione dei servizi nei piccoli comuni. E’ un quadro che oggi deve essere ridefinito e ricostruito, a partire dal riconoscere il valore dell’autonomia dei comuni. E’ lesionato il pilastro dei rapporti fiscali e finanziari. I flussi finanziari sono stati costantemente ridotti, mentre non è chiara qual è la fiscalità che viene riconosciuta ai comuni, a partire dall’Imu; il Patto di stabilità ha lesionato il rapporto tra comuni e Stato, perché si è trasformato sempre di più in una prigione che ha mortificato autonomia e capacità di governo degli enti locali. Per questo non si tratta di negoziare qualche dettaglio con questo o quel ministro: bisogna ridefinire l’insieme delle relazioni tra Stato e comuni.

Uno dei suoi primissimi incontri, subito dopo l’elezione, è stato con il presidente del Consiglio. Anci ha poi rilanciato la richiesta di un incontro con lo stesso Letta e con i ministri competenti, a partire da quello dell’Economia, per entrare nel vivo del negoziato. In che tempi pensa avverrà?
Sia nel mio primo incontro con il presidente Letta, sia in quello con il ministro Saccomanni, che nei ripetuti incontri che abbiamo avuto con il ministro Delrio, ho insistito sull’emergenza di attivare un tavolo Stato-comuni che abbia la funzione di ridefinire l’intelaiatura e l’architettura dei nostri rapporti. Ho trovato piena disponibilità, e credo che con il ministro Delrio, già nelle prossime settimane, potremo giungere in concreto all’attivazione del tavolo negoziale.

A proposito di risorse e fiscalità. Il governo ha confermato il superamento e la ristrutturazione dell’Imu. In questi mesi qualcuno ha parlato di battaglia ideologica sull’imposta…
Il problema non è dividersi fra chi vuole l’Imu e chi non la vuole. Non siamo davanti ad un referendum. I comuni e l’Anci pongono un problema molto preciso: qual è la fiscalità autonoma ed esclusiva che viene riconosciuta ai comuni? Se è l’Imu, chiediamo che sia un tributo locale al 100percento, detenuta e gestita dagli stessi comuni. Se non è  l’Imu, ci dicano qual è il tributo alternativo che consente agli enti locali di avere autonomia fiscale. Quel che non si può fare è abolire l’Imu senza dire con quali entrate per i comuni sarà sostituita.
 
Torniamo all’aspetto istituzionale del dilemma Stato-comuni. Lei ha ricordato come sedici decreti negli ultimi diciotto mesi abbiano inciso non soltanto sul lato delle risorse, ma anche e soprattutto sull’autonomia organizzativa e ordinamentale. Teme un superamento dell’impostazione del Titolo V della Costituzione?
Un ritorno indietro nei fatti c’è già stato.  Il Titolo V è norma costituzionale, ma in questi anni c’è stato un arretramento evidente nel riconoscimento della centralità, del carattere strategico dell’autonomia dei poteri locali. I sedici decreti di cui ho parlato hanno inciso intanto sulle risorse, il che vuol dire che i comuni ogni mese hanno dovuto rifare il bilancio. Allo stesso tempo quei decreti  sono stati riempiti di norme cosiddette ordinamentali che incidono anche sull’organizzazione dei servizi, della macchina comunale, dell’attività delle giunte, dei sindaci. Una cosa priva di senso. Pretendere di dare norme organizzative a 8.000 comuni di dimensioni diverse su territori molto diversi tra loro, con esigenze e priorità differenziate, significa imprigionarli in una camicia di forza che riduce la capacità di corrispondere alle esigenze dei cittadini.

L’Anci ha sottolineato più volte, in questi anni, che i comuni hanno fatto e stanno facendo la loro parte nel risanamento dei conti pubblici…
E’ giusto che lo Stato definisca per i comuni i flussi finanziari, le risorse di cui dispongono e anche qual è il contributo che devono dare al risanamento finanziario del Paese. I sindaci sono cittadini che esprimono cultura di governo: non ci sottraiamo alla responsabilità di concorrere al risanamento del Pese, anzi lo abbiamo fatto già in questi anni e proseguiremo nel farlo, se necessario. E vale anche la pena di ricordare che i comuni sono “contributori netti”: han versato più di quanto la loro spesa incide sul totale della spesa pubblica. E’ tempo che anche altri livelli istituzionali, a partire dalle amministrazioni statali, conoscano il risanamento. Una cosa dev’essere chiara: i sacrifici che ci verranno richiesti saranno tanto più gestibili quanto più si riconoscerà agli enti locali autonomia e capacità di autogoverno.