• Marzo 16, 2018
di anci_admin

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Libri – Avvistamenti. Città amata e odiata (negli Usa)

Spazi(s)confinati. Puritanesimo e frontiera nell’immaginario americano (Manifestolibri), di Em...

Spazi(s)confinati. Puritanesimo e frontiera nell’immaginario americano (Manifestolibri), di Emiliano Ilardi e Fabio Tarzia, prova a spiegare l’enigma americano, la schizofrenia di questo grande paese, pacifista e imperialista, democratico e (a volte) autoritario, ottimista e paranoico, tollerante e razzista (Trump e Obama). Dove alla radice troviamo due archetipi, due rappresentazioni dello spazio: da una parte il mito della frontiera (l’inventare sempre nuove spazialità per far evaporare i conflitti) e dall’altra la cultura puritana, che percepisce lo spazio vuoto come fonte del male e dunque intende ossessivamente controllarlo. A Ilardi ho rivolto una domanda sul tema specifico della città
La Porta: Gli americani la amano o la odiano? E’ vero, negli Stati Uniti il gangster, il criminale che ce l’ha fatta si costruisce una residenza lontano dalla folla, che è invece piena di giustizieri e paranoici (e questo conferma il suo successo), a differenza dei boss mafiosi e camorristici. E ancora: nelle città americane il territorio è sempre ben catalogato e ordinato, i quartieri sono separati tra loro in modo assai più netto (ossessione puritana di catalogare e archiviare), e l’urbanistica va a gonfie vele perché a loro, indenni da bombardamenti aerei, non gli importa di distruggere e ricostruire, non hanno paura delle macerie come noi in Europa. Jefferson diffidava della urbanizzazione, perché la città è spazio conflittuale, ingovernabile, di qui l’espansione americana dei sobborghi, nuova frontiera controllabile. Tutto vero, però resta il fatto che ogni italiano ventenne sogna di andare a New York, a Chicago o a San Francisco, altrettante Disneyland per adulti ! Le città americana si insediano al centro del nostro immaginario più di tutte le altre, nonostante i nuovi grattacieli a Kuala Lumpur e a Dubai.
Ilardi: Qui bisogna distinguere tra un immaginario anglo-puritano che vede la metropoli come il male assoluto sia per mancanza di spazio che per la difficoltà di distinguere gli eletti dai dannati, e un altro costruito dall’immigrazione essenzialmente cattolica ed ebraica, più incline al compromesso e alla gestione della folla indistinta. E’ possibile che l’immagine della metropoli come luogo in cui cercare l’occasione per raggiungere il successo e realizzare se stessi per poi però allontanarsene il prima possibile (nei sobborghi ad esempio) sia, almeno in questo caso, una sorta di compromesso tra le due tendenze. E lo stesso vale per la rappresentazione della metropoli (soprattutto quelle californiane, Los Angeles e San Francisco) come contesto privilegiato della sperimentazione tecnologica finalizzata alla creazione-scoperta di nuove frontiere. Comunque la si veda la metropoli appare più come un luogo di passaggio che come spazio dell’abitare e, per il versante anglo-protestante dell’immaginario americano, essa non perderà mai i suoi connotati negativi. Ciò è dimostrato dal fatto che in America non esista una vera e propria cultura urbana che contribuisce fortemente all’identità nazionale come in Europea; se le città non sono più produttive, non offrono più occasioni, esse si lasciano tranquillamente morire come sta accadendo ad esempio a Detroit o a Baltimora o fallire come accadde perfino a New York negli anni Settanta del secolo scorso. (flp)