• Novembre 21, 2016
di anci_admin

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Polis – A colloquio con Orazio Carpenzano: “Occorre saper demolire!”

Continuiamo le nostre interviste a architetti, urbanisti, filosofi, amministratori, sociologi, ...

Continuiamo le nostre interviste a architetti, urbanisti, filosofi, amministratori, sociologi,  ma anche scrittori e poeti, sulla forma della città contemporanea, sulla difficoltà che ha di essere rappresentata in modo adeguato, sulle complicate questioni che deve affrontare, dal rapporto con il passato alla necessità di avere dei confini. Stavolta ci risponde il professor Carpenzano, della Sapienza: delle sue molte pubblicazioni citiamo solo Porte metropolitane di Roma (Palombi) e Idea Immagine Architettura (Gangemi.
L’urbanizzazione. Il nostro pianeta sta sempre più urbanizzandosi: ormai, per la prima volta nella storia dell’umanità, il numero di chi vive nelle città ha superato quello della popolazione rurale. E, se l’attuale tendenza sarà confermata, alla metà del secolo corrente circa i due terzi della popolazione vivrà in ambito urbano. Come valuti il fenomeno?
Oggi abbiamo davanti due modelli di città: direi riassumibili nei concetti di downtown e sprawl. Una tende alla densificazione, ed è la città raccolta, compiuta, quella che ci proviene dalla esperienza storica, quando la città doveva difendersi dalla tremenda natura, ed è la città dove si costruiscono le case una accanto all’altra (solidarietà, controllo sociale, sviluppo in altezza). L’altra è la città diffusa o dispersa, senza scopo e senza centro, caotica e frammentaria,  la città che non sa fermarsi, che divora tutto il territorio, prima costruisce poi ci mette servizi e infrastrutture, la villettopoli,  Los Angeles, ma anche la città teorizzata da Bernardo Secchi – che contrappone città moderna a città contemporanea, impegnata a cercare una razionalità diversa da quella del Movimento moderno.  Spesso la città esistente comprende questi i diversi modelli, ma in modo casuale o confuso. Certo la contemporaneità deve dare una risposta  a questo problema.
Limite.  Negli  anni ’20 Le Corbusier pensava la modernità come espansione, mezzo secolo dopo Insolera dice che la modernità è   darsi un limite.   Nella città   immaginaria di Zoe (nelle Città invisibili di Calvino) priva di qualsiasi confine, interno ed esterno, si finisce con lo smarrirsi. Insomma ci vogliono i limiti, i confini?
Oggi possiamo e dobbiamo riprendere sia Le Corbusier che Insolera nel concetto –  così presente ai politici –  di sviluppo sostenibile. Dunque espansione dinamica, ma anche sostenibilità ambientale. Poi c’è il problema della conservazione e del recupero dei centri storici, dei siti archeologici, etc. Ti ricordo che Le Corbusier voleva radere al suolo 1/3 del centro storico di Parigi…
E qui passiamo al rapporto con il passato, con le opere architettoniche  del passato,  oscillante tra imbalsamazione e assenza di memoria (città come parco a tema per turisti, etc.)Ad es. ritieni che il Comune dovrebbe   salvare  negozi  e caffè di valore storico,  come  fanno a Parigi?)
Rispondo subito alla seconda parte della domanda. Sì, difendere la libreria storica ma solo se questa torna a essere “produttiva”, se cioè produce reddito, se genera un uso nel tempo… la bellezza priva di uso non mi interessa.
La rappresentazione della città.  Oggi occorre   una  nuova rappresentazione e un altro racconto per tentare di costruire una qualche idea comune e adeguata del vivere  in città. Chi potrà costruirla? Urbanisti? Amministratori? Scrittori? Artisti? Sociologi?
Vorrei richiamarmi alla mostra fatta al Maxxi “Roma 20-25. Nuovi cicli di vita per la metropoli”,  del gennaio 2015, che ha coinvolto 24 università: visioni e progetti sulla Roma futura. E a cui hanno partecipato urbanisti e scrittori. Si propose tra l’altro una mappa di Roma divisa in tanti quadrati, punto di origine il Palatino, a formare un puzzle. Alla fine è stato impossibile mettere insieme i quadrati! E allora: per gestire o govenrae un insieme così eterogeneo devi lavorare sui frammenti (l’idea di città-arcipelago fu una idea forte, anche se poi i municipi non funzionarono come si pensava).  Ma vorrei solo aggiungere una considerazione: per governare il territorio  bisogna anche saper demolire: alla foce del Tevere c’è una città abusiva, con gli abitanti che vivono in pericolo di vita (per inondazioni, etc.), e davvero non ha senso. (flp)